

THE STALKER
IL PEDINATORE
Edizioni MEF L’ Autore Libri Firenze
171 pagine
Tra le righe…
L’acqua non voleva smettere di scorrere. Attilio colpì ripetutamente il lavandino, senza mirare esplicitamente in qualche punto, colpendolo dappertutto, a casaccio. Mormorò parole prive di senso e staccò con decisione l’asciugamano, si asciugò il viso strofinandoselo con violenza e si rimirò nel vecchio specchio sporco.
Ammiccò leggermente, ma senza farlo apposta, era un tic nervoso o qualcosa di simile. Ne era pieno, era sommerso dai tic.
Dio che faccia, che schifo. Non ispiro fiducia, non ispiro simpatia, al massimo posso ispirare paura, una buona dose di timore… Non è poi una cosa malvagia, può sempre servire. Ogni cosa ha uno scopo, anche la mia faccia deve averlo.
Cercò di sorridersi, ma gli uscì un’inquietante smorfia che sapeva di dolore; sbuffò e si diresse, scalzo, verso il letto. Si chinò, sollevò una manciata di coperte che non avevano mai visto il sole e raspò per qualche istante sotto al letto. Estrasse una valigia di cuoio, nera, leggermente opaca. L’accarezzò, la sollevò e la depositò sul letto. Ansimò, era pesante; l’aprì con cautela.
All’interno, alcuni abiti accuratamente piegati; ci passò sopra una mano leggera e aprì la cerniera nascosta, nella parte superiore della valigia.
Voleva controllare che ci fosse tutto, aveva paura di dimenticare qualcosa. Era una delle sue più grandi paure. E se avesse scordato qualcosa d’importante? Solitamente ci si accorge della mancanza dell’essenziale quando ormai è troppo tardi per rimediare. Attilio sbirciò nella tasca e ne estrasse il contenuto. Carte d’identità, passaporti, soldi, tessere, altre tessere, ancora passaporti. Sorrise, non aveva dimenticato niente. Impilò il tutto e l’infilò nuovamente nella tasca. S’alzò e corse ad abbassare le tapparelle; meglio essere sicuri, meglio prevenire che curare. S’accovacciò accanto alla valigia. Aveva controllato tutto perfettamente? Era sicuro di non aver dimenticato niente? Non poteva resistere a un simile dubbio. Aprì nuovamente la tasca e ne estrasse il contenuto, lo controllò e lo rimise a posto e poi di nuovo e di nuovo…
Si rimise in piedi con uno scatto, infilò la porta del bagno e la chiuse con una botta. S’appoggiò al lavandino e ansimò.
Perché devo sempre appoggiarmi al lavandino quando sto male?
Vedere la mia faccia non mi aiuta, non mi aiuta per niente.
Aprì lo sportello accanto allo specchio sporco e ne estrasse dentifricio, spazzolino e pettine.
Si lavò i denti con cura, usò anche il filò interdentale, doveva assumere un aspetto decente. Si sciacquò parecchie volte, gli sembrava di non essere mai abbastanza pulito. Avvertiva un formicolio all’estremità degli arti, no, non era abbastanza pulito; si svestì e s’infilò nella doccia, l’aveva già fatta tre volte quella mattina.
Lo scroscio senza interruzioni gli permetteva di pensare meglio, forse persino troppo.
Perché aveva mollato il lavoro? Non ne avrebbe più trovato uno simile. Non avrebbe più incontrato qualcuno così misericordioso da assumerlo e da pagarlo persino.
Quanto sono idiota…
Perché aveva venduto l’appartamento di famiglia? Perché aveva ritirato tutti i soldi dal suo conto in banca? Adesso erano tanti, ma prima o poi sarebbero finiti o qualcuno avrebbe potuto rubarli.
Quanto sono idiota…
S’avvolse nell’asciugamano e trotterellò fino agli abiti, ne scelse di puliti e belli, si rivestì con calma, cercando d’assaporare il contatto del tessuto sulla pelle.
S’infilò un paio di pantaloni neri, eleganti, dalla stoffa morbida e gradevole, poi scelse una camicia azzurrina, stirata molto bene. Completò l’operazione con un baschetto nero alla francese: doveva dargli quel tocco abbastanza eccentrico da sembrare un turista ricco o, al massimo, benestante. Corse davanti allo specchio del bagno e si rimirò; si era fatto bene la barba? Gli sembrava d’intravederne un’ombra. Appiccicò il viso allo specchio e l’esaminò con perizia; poteva passare, ma non era perfetto.
E quando mai sono perfetto? Non sarò mai perfetto, ma io devo essere perfetto!
Decise che era tempo di partire, avrebbe viaggiato molto da quel momento in avanti, avrebbe fatto di tutto per trovare quello che cercava. E sterminarlo.
Afferrò la valigia e aprì la porta per uscire. Diede un’ultima occhiata all’appartamento e si raggelò. Era sporco. Ma veramente tanto sporco. Non poteva lasciarlo così, doveva fare qualcosa, doveva pulirlo. Richiuse la porta e raggiunse lo sgabuzzino, raccattò stracci e detersivi e decise di mettersi all’opera.
Un paio di ore più tardi varcò la soglia, si era stancato e ora la mente l’assaliva di dubbi. Aveva chiuso bene la porta? Aveva preso tutto? Aveva dimenticato niente? Era abbastanza pulito?
Scosse la testa e chiamò l’ascensore; il bottone era sporco, s’osservò il dito con una smorfia di disgusto.
Le porte s’aprirono e Attilio indugiò sulla soglia. Poteva azzardarsi ad entrare? E se si fosse bloccato a metà strada? C’erano prese d’aria? Dopo quanto arrivava la sicurezza? C’erano troppe variabili, non aveva margine d’errore sufficiente. Optò per le scale, attraversò lo stretto corridoio e, in fondo, girò, incrociando le scale. Scese facendo attenzione a non toccare il corrimano e si ritrovò davanti alla porta d’uscita.
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